America
Perché negli Stati Uniti non c’è il socialismo?
Secondo la visione elaborata da Marx ed Engels nel complesso delle loro opere era proprio in nord America e non nella depressa Russia che si dovevano avverare le condizioni ideali per lo sviluppo del capitalismo, la conseguente nascita di un forte movimento operaio organizzato e infine l’avvento della società socialista. Ciò in accordo con l’impianto dialettico (il vero motore del programma “scientifico” del marxismo) insito nel materialismo storico, ossia l’entrata in contraddizione tra forze produttive, rapporti di produzione e assetti sovrastrutturali, che necessariamente avrebbero condotto al Zusammenbruch, al crollo, come una pera matura, del modo di produzione e della società capitalista.
Nei fatti l’America sconfessa – fino ad ora, domani non sappiamo – il modello marxiano secondo il quale la crescita contrapposta delle due forze in campo (il capitale e il lavoro), la loro crescente e dialettica dicotomizzazione avrebbero dato luogo, dall’interno, alla loro fatale collisione, alla conseguente entrata in contraddizione del modello capitalistico con il finale subentro “oggettivo” del proletariato che avrebbe ereditato la società giunta al massimo livello di industrializzazione e instaurato, al posto del «regno della necessità» quello della libertà. Ponendo fine alle lotte di classe, il mondo intero avrebbe fatto ingresso nella storia, avendo fino ad allora avuto corso soltanto la preistoria. Il modello marxiano era dialettico, oggettivo, fatale, non lasciava alcuno spazio alle forze volontaristiche degli uomini, era nelle “cose”, tanto è vero che Gramsci scrisse un celebre articolo in cui diceva che la Rivoluzione russa era avvenuta “contro Il Capitale“.
Ebbene tutto ciò non ebbe luogo negli USA, ma qui non si ebbe neanche la formazione di un potente e organizzato partito socialista e/o comunista come nel vecchio continente. È noto che la teorizzazione degli agenti politico-economici nel cui interno si sarebbe organizzato storicamente il proletariato, parlo del sindacato e del partito, non appartengono alla teoresi marxista, né da essa furono menomamente previsti. Tali corpi politici e sindacali si svilupparono nel vecchio continente a partire dal vecchio partito socialdemocratico tedesco e del sindacato teorizzato insieme allo “sciopero generale” da Fernand Pelloutier negli anni successivi alla morte dei fondatori. Negli USA solo il sindacato attecchì in organizzazioni di massa, seppur nelle configurazioni native del syndicate, pragmatiche da un lato o con caratteristiche gangsteristiche tipo “Fronte del porto” dall’altro, in ogni caso privo delle forti componenti ideologiche continentali.
Certo, il marximo in America ha avuto fulgenti momenti di affermazione intellettuale. Chiunque abbia letto i volumi di Paul Berman, – Sessantotto. La generazione delle utopie (Einaudi, Torino1996) o quello di Peppino Ortoleva Saggio sui movimenti del 1968 in Europa e in America ( Editori Riuniti, Roma 1988) che affrontano uno dei momenti più virulenti della contestazione giovanile, riscontrerà la vivacità e la ricchezza non solo del dibattito marxista americano, ma anche delle organizzazioni partitiche, tanto minuscole quanto vivaci, che facevano riferimento a questa dottrina e prassi politica. Ma si accorgerà ben presto che gli studenti americani, a differenza di quelli europei, non hanno interlocuzioni di amore-odio con i partiti (come Sofri con Togliatti e il PCI) mancando in America in quel periodo, come non c’era stato peraltro fino ad allora, un partito, un’organizzazione di levatura nazionale (federale) che si chiamasse socialista o comunista tale da competere, per esempio, alla corsa per la suprema magistratura politica. Abbiamo dovuto attendere i nostri giorni per vedere un front runner alla Casa Bianca – il sempre giovane e trascinante Bernie Sanders – che ha la sfrontatezza e il coraggio di definirsi “socialista”.
Negli USA, per riprendere il titolo di un serrato libro di Seymour Martin Lipset e Gary Marks * il socialismo non è accaduto qui, anzi vi è fallito. «Partiti che si sono chiamati Socialista, Social Democratico, Laburista o Comunista sono stati forze consistenti in ogni paese democratico nel mondo ad eccezione che negli Stati Uniti d’America», esordisce lapidariamente Lipset.
Perché? E come mettere ciò in connessione con la dottrina marxista?
Irving Howe, acuto liberal newyorkese, tenta in un saggio, Perché il socialismo è fallito in America? ** , di repertare alcune argomentazioni dei fondatori tese a spiegare l’arcano. In diversi luoghi, soprattutto in una lettera di Marx del 20 giugno 1881 a Friedrich Adolph Sorge, nella prefazione di Engels del 1891 alla Guerra civile in Francia e sempre nell’introduzione di Engels del 1887 alla Condizione della classe lavoratrice in Inghilterra, i fondatori sollevano diverse obiezioni e distinguo, a partire dal fatto che in USA, secondo Marx, in una terra immensa erano accorse da ogni dove le masse disgregate, e il capitalismo vi si era sviluppato « più rapidamente e più vergognosamente che in qualsiasi altro luogo», mentre Engels sottolinea gli aspetti tipicamente locali della politica, di un paese ove, fin dalla fondazione, due grossi partiti si alternano al potere e sono controllati da «people who make a business of politics».
Howe aggiunge a tal proposito il parere pepato di un suo amico, H. Theodore Draper, il quale in una comunicazione personale allo stesso Howe osserva all’indirizzo di Marx e Engels: «Ogniqualvolta i due vecchi ragazzi (old boys) considerano le reali condizioni di paesi reali sono tentati di cadere nell’eccezionalismo, e questo vale sia per l’India, l’Italia, l’Irlanda. La realtà irrompe sempre come una “eccezione” rispetto alla regola».
Il tema del perché il socialismo non sia attecchito o è fallito negli USA è uno di quei nodi storici come la fine dell’impero romano, le ragioni della nascita della riforma protestante, le cause dell’affermarsi del nazifascimo, che affascinano e tormentano gli storici e i lettori curiosi.
Il primo a interrogarsi sull’eccezionalismo americano e a porsi esplicitamente la domanda secca fu Werner Sombart nel 1906 con il saggio (da allora il basic text) Perché negli Stati Uniti non c’è socialismo?
Molte le ragioni addotte da Sombart, non difficili da sintetizzare:
a) assenza di passato feudale. Gli americani nascono liberi in un sistema democratico, di conseguenza è flebile il senso delle distinzioni di classe;
b) la prosperità materiale taglia le possibilità dell’opzione socialista;
c) le grandi opportunità di mobilità sociale offerte dall’America in termini individuali piuttosto che grazie ad azioni collettive;
d) la “frontiera aperta” con la sua possibilità di raggiungere terre ricche servì da valvola di sfogo per gli scontenti;
e) il sistema bipartitico che rende difficile l’affermarsi di una terza forza.
A tutte queste spiegazioni se ne aggiungono altre. Alcuni studiosi attribuiscono la debolezza del socialismo in USA al fallimento degli organizzatori e leader socialisti (Lipset); altri all’incompatibilità del socialismo con i valori “core” degli USA; altri ancora alla Costituzione americana. Infine l’ipotesi, raccolta da Howe, di Selig Perlman (attivista e storico laburista) il quale sostiene che le ondate di immigrati conducono a un deep ethnic cleavages tra lavoratori “nativi” e immigrati e a una difficile aggregazione solidaristica tra i lavoratori. La razza potè più che la classe.
Su tutte queste spiegazioni si sofferma Stefano Cristante in un bel saggio ricognitivo dal titolo “Classe operaia, roastbeef e apple-pie” . Bistecca e torta di mele. Sarebbero la ragione sombartiana espressa sub b): la prosperità materiale taglia le possibilità dell’opzione socialista. «Di fronte al roastbeef e all’applepie tutte le utopie socialiste vennero meno».
* Seymour M. Lipset and Gary Marks, It didn’t happen here. Why socialism failed in the United States, Norton, New York 2000.
** Irving Howe, Why has socialism failed in America in Selected writing 1950- 1990, HBJ, 1990, pp. 382-409
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