Agricoltura

ogm e inversione dell’onere della prova: l’argomento ad ignorantiam

4 Gennaio 2015

Usando un esempio da tempo al centro di molte controversie – a breve gli Stati appartenenti all’Unione europea potrebbero decidere di intervenire per vietare la vendita degli ogm anche qualora (in seguito a controlli) fossero stati approvati per la vendita a livello dell’Unione – spiegheremo che cos’è un argomento ad ignorantiam.

Immaginiamo allora che una sostenitrice del biologico (no, sulla questione, in questo contesto, non prendiamo posizione, limitandoci invece a esaminare i modelli argomentativi) sostenga che i prodotti locali (anche detti “naturali” o “biologici” o “biodinamici” o “senza chimica”) siano meglio di quelli modificati tramite tecniche di manipolazione genetica (i cosiddetti ogm). I sostenitori degli ogm potrebbero replicare che, siccome la sostenitrice non è in grado di provarlo, allora la sua affermazione non è vera.

Potete scegliere una tematica qualsiasi: nell’argomento ad ignorantiam si sostiene sempre che una proposizione è vera sulla sola base del fatto che non la si è dimostrata falsa, o, in alternativa, che è falsa sulla sola base del fatto che non la si è dimostrata vera.

Sin qui, spero che mi abbiate seguito. Il problema è che, siccome moltissime proposizioni false non hanno ancora subito la dimostrazione della loro falsità (e lo stesso vale per quelle vere), un appello all’ignoranza non è in grado di stabilire né la verità né la falsità di una proposizione: non la dimostra, insomma, ma nemmeno la confuta. Tuttavia, in ambito scientifico questo appello all’ignoranza è comunissimo, e viene spesso usato al fine di determinare o impedire eventuali mutamenti politici. In certi casi, non inferire una conclusione costituisce un ragionamento scorretto o problematico, tuttavia, in alcune circostanze il mancato ritrovamento di prove e risultati può acquisire forza argomentativa.

Così, sentiamo talvolta dire che i prodotti agricoli provenienti da piante geneticamente modificate non devono essere coltivati né consumati, perché non ci sono prove che non facciano male. Sì, avete capito bene: due negazioni mirano a sottolineare che, non sapendo essendo riusciti a dimostrare che non fanno male, allora potrebbero fare male, di conseguenza sarebbero da vietare (e, ad nauseam, si presuppone che facciano male, che siano cioè “infestanti” ma al contempo “sterili”, che siano uno strumento delle “multinazionali”, mentre i prodotti biologici sarebbero a “km zero”, gli ogm danneggerebbero l’ambiente, sarebbero “tossici” e “allergenici”, mentre invece il biologico sarebbe “sostenibile”, “innocuo” e “salutare”, gli ogm sarebbero “resistenti ai pesticidi” o con una “tossina antiparassitaria”, il biologico, invece, non prevederebbe l’uso di pesticidi e sarebbe “naturale”ecc. ecc.).

Il problema, con un ragionamento di questo tipo, è che si dovrebbe applicare anche alla reciproca: se non si dimostra che gli ogm facciano male, allora non fanno male. Se, confusi dalle negazioni fluttuanti di questi strani argomenti da veri ignoranti, decidiamo di applicare il Galateo della discussione, allora dobbiamo chiarire che spetta a chi avanza una tesi dimostrare che la propria posizione è forte, e non pretendere che la controparte confuti una posizione che non condivide. Certo, la confutazione è possibile, ma è un diritto della nostra controparte pretendere da noi una prova di quanto asseriamo.

Tradotto in biologico e geneticamente modificato (per ora, usiamo i termini della vulgata, ma forse la questione sarebbe da riformulare anche da un punto di vista linguistico, i termini della questione andrebbero cioè forse ridefiniti da cima a fondo), questo significa che bisogna dimostrare che un alimento faccia male. Per farlo, bisogna ricorrere a un gruppo di controllo: un gruppo A si nutrirà di un certo alimento “ogm”, un gruppo B di un alimento “no ogm”, un terzo, C, di un alimento “biologico” (o “biodinamico”). E poi si guardano gli effetti. Se a breve o a lungo termine non ci sono differenze, allora chi sostiene che uno dei tre fa male dovrebbe ritirare la propria posizione, e chi sostiene che i tre sono equivalenti vedrebbe confermata la propria. Il principio della cautela vale, per carità, quindi sospendiamone il consumo sino a che non si avranno le prove che siano innocui. Se, invece, uno dei tre avesse effetti tossici, dovremmo sospendere la vendita di quel prodotto, quindi, non tutti gli ogm o tutti i prodotti biologici, ma quel singolo prodotto che è stato testato. Purché, ovviamente, sia consentito testarlo; mentre invece le aggressioni nei confronti di agricoltori-ricercatori di futuragra mirano esattamente a impedirlo, impedendoci di dirimere la questione in modo metodologicamente corretto (ecco perché non possiamo, su molti alimenti, ancora esprimere una nostra posizione, sebbene per alcuni alimenti le prove di non tossicità esistano già, come si potrà vedere negli approfondimenti).

 Pensiamo a un caso analogo (per gli argomenti basati sull’analogia vedi qui): quando si cerca di capire se i medicinali sono innocui per l’uomo attraverso alcuni esperimenti su animali, e non ci sono risultati negativi, questa può essere una prova indiretta: se gli effetti negativi avessero una possibilità di insorgere, dovrebbero fare la loro comparsa. Se non la fanno, allora non lo sono. Il passo seguente sarà poi quello di testarli su gruppi di volontari (possibilmente, se in questione sono anche gli effetti eventualmente benefici per la cura di qualche malattia, con un gruppo di controllo per verificare l’effetto placebo).

 In politica, l’argomento ad ignorantiam può essere devastante: così, talvolta, un governo dittatoriale può decidere di aggirare la tutela dei diritti, agendo in base al principio del sospetto, non in base alle prove. In tal caso l’argomento ad ignorantiam potrebbe essere stato rafforzato da un pregiudizio. Questo è un rischio al quale si va incontro con le leggi antiterrorismo, che funzionano con un procedimento probabilistico: si sospettano infatti persone che appartengono a gruppi ben precisi poiché si suppone che siano gruppi in larga misura eversivi, quindi, la probabilità di errare è (si suppone a priori) minima. Ma non mancano applicazioni al diritto amministrativo, recentemente, infatti, in Italia si era proposto si riservare al contribuente l’onere della prova, dimostrando che il possesso di una certa quantità di beni o di denaro non fosse illecito. Il problema? Dovrebbe invece essere il fisco a provare l’illecito. L’accusa, cioè, non la difesa, altrimenti siamo nell’ambito del processo inquisitorio (vedi alla fine dell’articolo).

Per evitare equivoci ed errori diciamo allora che, se si sospetta che una persona sia un terrorista, occorrono prove per condannarlo, mentre con le leggi speciali si sospende il principio della presunzione di innocenza, base della nostra cultura giuridica post inquisitoriale, e si condanna in base al semplice sospetto una persona solo perché, sebbene non si scopra la sua colpevolezza, nemmeno si riesce a provarne l’innocenza. Sullo sfondo, naturalmente, oggi si trova un pregiudizio contro un gruppo etnico o religioso percepito in modo stereotipato (forse gli “arabi” o i “musulmani” sono tutti membri dell’ISIS?).

 Quando le prove non sono indispensabili per condannare, senza prove che ci assolvano siamo tutti condannabili in base al sospetto, in questa pericolosa inversione dell’onere della prova.

 Logon Didonai

 

In sintesi: l’argomento ad ignorantiam.

 1.     L’errore consiste nel rovesciare l’onere della prova.

2.     In una discussione, chi sostiene una tesi deve provare quanto dice, se l’interlocutore lo richiede, e chi dubita della tesi deve essere pronto a ritirare il dubbio se le prove ci sono.

3.     Chiedere a chi dubita della nostra tesi di provare la tesi contraria è un metodo per chiudere la discussione, anziché favorirla.

4.     In genere è possibile replicare a un argomento di questo tipo smascherando l’enunciato che si pretenderebbe confutare ad ignorantiam mostrando che può essere vero (falso) sebbene non si sappia dimostrare che è falso (vero).

 

Per approfondire:

Sull’onere della prova.

Per una discussione ad ampio raggio: il blog di Dario Bressanini.

Il dibattito tra il New Yorker e Vandana Shiva.

The New Yorker, Seeds of Doubt.

Gli ogm fanno male? Una ricerca dubbia e contestata.

 La bufala della fragola-pesce.

Per un approccio che, a prescindere dalla posizione, si fa carico dell’onere della prova e permette di chiarire i termini della questione:

Dario Bressanini, Ogm tra leggende e realtà, Zanichelli, Bologna 2009.

Roberto Defez, Il dibattito sugli organismi geneticamente modificati, Carocci, Roma 2014.

Robert Paarlberg, Food Politics, What Everyone needs to know, Oxford University Press, Oxford 2013.

 Per un approccio che viola l’onere della prova (a prescindere dalla posizione):

Vandan Shiva, Fare pace con la terra, Feltrinelli, Milano 2012.

Sul processo inquisitorio:

Italo Mereu, Storia dell’intolleranza in Europa, Bombiani, Milano, 1989.

 

 

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