Africa

Che ruolo sta giocando la finanza nello sviluppo dell’Africa?

19 Agosto 2015

A est del Madagascar c’è uno Stato insulare abitato da un milione e trecentomila persone che ospita circa 30mila società internazionali e ricava il 10% del PIL dal settore finanziario. Si tratta delle Isole Mauritius, un paradiso tropicale divenuto una delle più allettanti piazze finanziarie a livello globale, il 28° miglior luogo per il business secondo la Banca mondiale (l’Italia è al 56° posto). Negli ultimi trent’anni i Governi di Port Louis hanno individuato nella diversificazione economica il passaggio strategico per favorire lo sviluppo, contando sullo storico ruolo di ponte delle Mauritius tra Africa e India. Puntando su tecnologia e infrastrutture, su una bassa pressione fiscale e su un tasso di crescita costantemente positivo (in media il 4% negli ultimi anni), le Mauritius sono riuscite ad attrarre una ventina tra i maggiori gruppi bancari mondiali e quasi mille fondi d’investimento, con un apporto al PIL di 1 miliardo di dollari.

Tuttavia nei progetti del paese c’è un passo ulteriore, ossia la transizione dalla funzione di intermediario a quella di centro finanziario autonomo, con lo scopo di offrire un’alternativa agli operatori di mercato del Sudafrica. Al di là del primato tuttora non insidiabile della Borsa di Johannesburg (la più grande del continente), gli investitori sudafricani lamentano infatti il rischio di un aumento della tassazione, eventualità che i concorrenti sono già pronti a sfruttare. La novità, però, è che le Mauritius, come altre realtà subsahariane, si stanno preparando ad accogliere non solo gli investimenti esteri, ma anche quelli intra-africani e degli africani.

Nel continente nero si sta assistendo a rilevanti dinamiche economiche, con profonde ripercussioni socio-politiche e demografiche. Le maggiori organizzazioni internazionali sono concordi nello stimare che l’economia subsahariana crescerà del 5-6% fino al 2023, per una serie di fattori eterogenei che rendono il contesto favorevole allo sviluppo. Se fino a una decina di anni fa l’economia africana era basata quasi esclusivamente sullo sfruttamento delle risorse naturali, oggi gli investimenti esterni e interni sono diretti in misura sempre maggiore verso infrastrutture, tecnologia e servizi. Fermo restando che le commodity sono ancora la principale fonte di ricchezza, i Paesi africani hanno cominciato a trattare diversamente le finanze pubbliche, migliorando notevolmente la gestione dei bilanci e la governance dell’economia, ossia riuscendo a favorire un primo cambio di prospettiva.

Investire in Africa oggi è possibile e, in alcuni casi, nemmeno troppo rischioso. La mutata – seppur parzialmente – attitudine dei Governi africani ha consentito molte migliorie sistemiche, che a loro volta hanno facilitato l’affermazione di un ciclo economico positivo.
Non bisogna poi dimenticare che l’area subsahariana vanta il bacino demografico più giovane del pianeta (ci sono circa 300 milioni di abitanti sotto i 16 anni), nuove energie che, incontrando un trend favorevole, possono contribuire attivamente all’aumento della ricchezza e mettere in moto il mercato dei consumi. Basti considerare che, per esempio, alcune economie, tra cui l’Etiopia (dove sono in corso rilevanti operazioni italiane), il Kenya e il Ruanda potrebbero raddoppiare il proprio valore entro la fine del prossimo decennio.

 

La nuova classe media africana

Proprio in questo senso l’Africa sta vivendo anche un periodo di radicali stravolgimenti sociologici, con una maggiore mobilità sociale e un incremento – disomogeneo – del benessere: nel 2013 i miliardari nel continente erano 50, ma nel 2014 sono diventati 55, con un patrimonio medio prossimo ai 3 miliardi di dollari. La regione subsahariana sta assistendo alla formazione di una nuova classe media dinamica, flessibile, con un buon livello d’istruzione e interconnessa – paradossalmente un elemento che ha favorito la diffusione dell’ebola è stato la maggiore facilità degli spostamenti.

In un Paese strategico per l’Italia come l’Angola, il reddito pro capite è cresciuto senza sosta dal 2010, facendo registrare un +3,6% nel 2013. In Mozambico il dato è del +4,6% medio negli ultimi quattro anni, in Etiopia addirittura del +7%, mentre alla vigilia della catastrofe epidemica la Liberia registrava il +8,6% del 2013. Un altro dato impressionante riguarda la Nigeria, prima economia africana (complice il rallentamento del Sudafrica), uno Stato quasi totalmente dipendente dalle esportazioni di petrolio: dal 2000 la classe media è cresciuta del 600%, a fronte di un PIL stimato per il 2015 al +6,5-7,5% e di una popolazione che sfiora i 180 milioni di abitanti. Un netto ampliamento della middle class è previsto anche in Angola: entro il 2030 i nuovi “borghesi” potrebbero essere 1 milione in più, per un quinto proprietari di un immobile.

Lo sviluppo della classe media sta comportando un aumento della richiesta di prodotti finanziari: prestiti e mutui, assicurazioni e pensioni, sostegno all’imprenditoria e fondi d’investimento. Ecco quindi che, in cerca di mercati e abbastanza convinta dal miglioramento della governance, la platea mondiale ha cominciato a prendere in considerazione il continente nero: non è un caso che a gennaio del 2015 per la prima volta un private equity fund africano abbia superato il miliardo di dollari. Le difficoltà restano sempre manifeste, però il clima sta cambiando, soprattutto per quanto riguarda i servizi e i beni di consumo ambìti dalla nuova classe media: scuole, ospedali, supermercati, telecomunicazioni e ristorazione.

 

La finanza e l’informalità dell’economia subsahariana

Ovviamente non è tutto oro. L’Africa subsahariana sfiora gli 800 milioni di abitanti e un terzo della popolazione vive con meno di un dollaro al giorno. Le organizzazioni internazionali e gli attori privati stanno quindi tentando di far arrivare la finanza anche ai livelli più bassi della popolazione. In primo luogo è fondamentale tenere presente che l’economica africana di base sia soprattutto familiare e informale, per la maggior parte dei casi legata all’agricoltura o ad attività artigianali. Ci sono istituzioni tradizionali che forniscono servizi quali il deposito e il trasferimento di denaro senza il passaggio dalle banche, ma la loro regolamentazione è difficile – e potenzialmente dannosa.

africa trade

Bilancia commerciale e investimenti diretti in Africa (da The Economist)

 

Diversa è la questione della microfinanza, che garantisce una minore pressione rispetto ai circuiti bancari classici. Nonostante non abbia una diffusione regolare nel continente, la microfinanza sta guadagnando molti consensi in Africa occidentale, con un trend positivo nelle regioni orientali e meridionali, tanto che negli ultimi dieci anni quasi tutti i Paesi subsahariani hanno adottato normative per il settore.

Altra soluzione per l’accesso alla finanza molto usata soprattutto nella Repubblica democratica del Congo e negli Stati sudorientali è la fornitura di servizi via cellulare, che unisce l’incremento nella diffusione dei telefonini a sistemi di pagamento e deposito rapidi. Il tutto senza dimenticare la finanza islamica, che si rivolge a oltre 250 milioni di musulmani subsahariani, integrandosi però perfettamente col panorama informale e tradizionale dell’economia continentale e offrendo una diversificazione nel sostegno alle piccole imprese, a prescindere dal credo religioso. Ritornando alle Isole Mauritius, si sta pensando da circa due anni di implementare la presenza degli istituti finanziari islamici (circa venti a sud del Sahara), non tanto per il 17% della popolazione musulmana, quanto per attirare investitori dai Paesi del Golfo – il mercato dei bond islamici valeva 50 miliardi di dollari Usa nel 2012 e il Senegal è riuscito recentemente a ottenere 200 milioni di dollari in titoli di Stato.

 

La finanza pubblica

Anche i Governi guardano interessati alla finanza per reperire risorse, con risultati sin qui positivi. Tra il 2006 e il 2014 l’Africa subsahariana (Sudafrica escluso) ha raccolto 15 miliardi di dollari dalle aste dei bond, spesso a tassi relativamente bassi. L’Etiopia, per esempio, ha finanziato con specifiche obbligazioni parte dei 5 miliardi di dollari per la Millennium Dam, la grande diga costruita dall’italiana Salini che sarà un elemento di game changing nella geopolitica africana. Nel dicembre 2014 Addis Abeba ha piazzato 1 miliardo di dollari di titoli a 10 anni, con un tasso medio del 6,65%, ma l’obiettivo è recuperare fino a 15 miliardi in cinque anni per sostenere l’ammodernamento infrastrutturale e agricolo. La Costa d’Avorio ha ricevuto da poco 4 miliardi di ordini per i propri bond a 12 anni al 6,625%, mentre il Ghana a settembre 2014 ha ottenuto 1 miliardo all’8,125 per cento.

Il problema è che questa politica non è sostenibile nel lungo periodo e già si percepisce l’odore di una bolla. A gravare non sono soltanto le turbolenze politiche, la difficile situazione della sicurezza o la scarsa integrazione giuridica e linguistica. Il primo rischio, per esempio, è il rallentamento della Cina, che è il partner principale della regione subsahariana, con 210 miliardi di dollari di interscambio. Il secondo – e molto più grave – pericolo è il calo del prezzo del petrolio. Alcune delle maggiori economie africane si basano soprattutto sulle esportazioni di greggio, come Nigeria, Angola (che rischia una perdita di 5 miliardi di dollari) e Mozambico. La diminuzione delle entrate potrebbe portare alla difficoltà di pagare i debiti degli anni precedenti e quelli nel lungo periodo, mentre nel breve termine la situazione è ancora sostenibile.

 

Meglio finanza che aiuti internazionali

I movimenti dei Governi africani mirano sia a raggiungere maggiori risorse, sia a integrare il proprio paese nel sistema finanziario internazionale. È indicativo in questo senso che, oltre all’impegno per lo sviluppo umano, priorità strategiche siano considerate la governance economica e la certezza delle procedure. Secondo alcuni autori, tra i quali spicca Dambisa Moyo, la finanza è lo strumento fondamentale per emancipare l’Africa dagli aiuti internazionali, talvolta paragonati ad atti di carità che alimentano il perverso circuito tra nuovo paternalismo e soffocamento dell’iniziativa.

Ma può la finanza sostenere davvero lo sviluppo africano? Su questo non c’è alcun accordo, mentre la dialettica tra chi difende la primazia del mercato in quanto promessa di benessere e chi lancia l’allarme sul rischio di una nuova forma di colonialismo è spesso aspra. Sicuramente la strategia finanziaria subsahariana può garantire nuove risorse e ampliare le opportunità anche dei piccoli produttori. Allo stesso tempo, però, esistono il rischio di una bolla dei bond africani e il pericolo dell’insolvenza sovrana.

L’aspetto davvero importante è l’insieme di passi che gli africani hanno realizzato negli ultimi venti anni, non solo quanto a diritti umani – il panorama resta comunque devastante, – ma anche riguardo alla stabilizzazione politica, all’integrazione regionale e al governo dello sviluppo umano. Nel 1995 il Ruanda era un paese distrutto, nel 2015 è una delle realtà più dinamiche a livello mondiale, la Silicon Valley africana. La finanza è un’alternativa all’interno di un processo di diversificazione delle economie, nonché un settore per favorire l’integrazione dell’Africa nel sistema internazionale. Se oggi è possibile investire nella Borsa keniota o ugandese è soprattutto perché Nairobi e Kampala hanno puntato su infrastrutture e progettualità politico-economica, rendendo concreto l’accesso ai servizi finanziari e convincendo attori interni ed esteri che i contesti fossero pronti a nuovi orizzonti.

Da qui deriva che le chiavi siano lo sviluppo umano e la certezza delle procedure. Per esempio, nonostante le Isole Mauritius siano un promettente hub finanziario, la rimozione improvvisa a dicembre 2014 del Governatore della Banca centrale ha mostrato agli osservatori internazionali che il paese, per quanto stabile, non sia ancora estraneo a pratiche che ispirano un certo brivido nei mercati.
Non è opportuno riflettere sull’espansione finanziaria in Africa ponendosi preliminarmente a favore o contro: i paesi subsahariani scorgono nella finanza le possibilità che essa ha offerto al resto del mondo. I fattori strategici sono lo sviluppo umano e l’affermazione dello Stato di diritto, le uniche vie che possono garantire il giusto ambiente per un uso positivo della finanza.

* * *

In copertina, Borsa di Lagos (Nigeria), 6 marzo 2015, “Ring the Bell for Gender Equality”, iniziativa a favore dell’uguaglianza di genere

*L’autore è analista politico de Il Caffè Geopolitico, associazione culturale che promuove la cultura degli esteri in Italia, e si occupa principalmente di Africa subsahariana

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