Sindacati

La disoccupazione è un business, e il Jobs Act lo affida ai sindacati

9 Marzo 2015

Quando la disoccupazione è un business.  E soprattutto quando il business è gestito dai sindacati confederali. Questo è quanto previsto e proposto dal Governo Renzi nei decreti attuativi della riforma del lavoro, meglio nota come Jobs act.  Come riportato da un articolo di Repubblica del 2 marzo, poi ripreso lo stesso giorno dal Giornale.it, il Governo sta per proporre ai sindacati di trasformarsi in agenzie di collocamento, per la riqualificazione professionale dei lavoratori che usufruiscono di ammortizzatori sociali, il cui servizio sarà abbondantemente retribuito dallo Stato: si parla di un giro d’affari di oltre seimila euro a disoccupato riqualificato e ricollocato, con un unico vincolo del contratto a tutele crescenti, appena istituito dal Jobs act.

Nei decreti attuativi della riforma, appena firmati ed emanati dal Presidente Mattarella, si istituisce e regolamenta un meccanismo di riqualificazione e ricollocamento dei disoccupati, già proposto all’allora governo di Enrico Letta dal senatore Pd Pietro Inchino, eletto nelle liste di Scelta Civica: ogni disoccupato che riceve un sussidio viene affidato da un centro pubblico per l’impiego ad un’agenzia per il lavoro. Come riportato da Repubblica, quest’agenzia può essere indifferentemente pubblica o privata,  che operi con scopo di lucro o una Onlus no-profit. Ad ogni modo verrà retribuita con un voucher  totalmente incassabile solo in caso di successo dell’operazione, la cui consistenza varia in base alla “difficoltà” di ricollocamento del lavoratore: dai 950 euro dei più specializzati, sino ai 6000 euro dei casi più complicati. Il lavoratore che rifiuta l’occupazione proposta viene segnalato dall’agenzia al centro per l’impiego, che può ritirare l’assistenza. Il soggetto ideale identificato dal governo per svolgere il ricollocamento è quello dei sindacati confederali, in rotta di collisione con l’esecutivo Renzi proprio per il jobs act, le cui casse sono sul lastrico per il taglio, previsto nell’ultima Legge di stabilità, dei fondi per i patronati del lavoro e per Centri di assistenza fiscale.

Prima che ciò avvenga a livello nazionale, un esperimento dei nuovi contratti di ricollocazione è stato approvato dalla giunta Zingaretti della Regione Lazio e nei prossimi mesi si avvierà a sperimentazione, come annunciato dall’ Assessore al Lavoro, Lucia Valente. Il settore produttivo interessato dalla sperimentazione è quello del trasporto aereo e i lavoratori interessati sono gli ex 1199 dipendenti Alitalia in mobilità, su base volontaria. Il progetto deve essere ancora approvato dal Ministero del Lavoro che poi lo finanzierà con 8,6 milioni di euro, provenienti dal Fondo per le politiche attive, che darà il via a un business della disoccupazione che riempirà solo le casse delle agenzie del lavoro. Come espressamente indicato nella delibera regionale, ogni agenzia specializzata riceverà mediamente 3000 euro di fondi pubblici per ogni lavoratore ricollocato, anche per contratti a tempo determinato, part-time, per un minimo di sei mesi l’anno, anche non consecutivi (senza che peraltro si faccia riferimento a mansioni e retribuzioni). A questi vanno aggiunti 2000 euro a lavoratore che l’agenzia riceverà per la formazione, che diventano 10 mila per la formazione dei 54 piloti in mobilità, a cui va aggiunta un’altra indennità di 5000 euro per ciascun lavoratore che svolgerà la formazione oltre gli 80 km dalla residenza. Il giro d’affari per le agenzie del lavoro è pari a 5 milioni e 600 mila euro complessivi, ma il business si allarga anche alle aziende che riassumono: per ogni lavoratore over 50 non pensionabile, collocato in mobilità da Alitalia, sono previsti incentivi fino a 5500 euro per la riassunzione, anche con contratti a tempo determinato di durata almeno di sei mesi anche non consecutivi. Conti alla mano, paradossalmente, un lavoratore ricollocato con tre contratti a tempo determinato di due mesi in un anno può arrivare a costare allo Stato 25 500 euro, nel caso abbia più di cinquant’anni, sia stato un pilota e abbia svolto la formazione a più di 80 km dalla residenza. Senza arrivare ai casi limite, le cifre per ogni ricollocamento mediamente si stagliano comunque intorno ai 7 mila euro per lavoratore ricollocato, con casi frequenti di cifre intorno ai 10-15 mila euro. Tuttavia, non è affatto detto, anzi appare spesso scontato il contrario, che il lavoratore ricollocato abbia un ritorno economico superiore ai soldi spesi dalla Regione e incassati dalle agenzie, per  riqualificazione e ricollocamento.

Alla luce di queste considerazioni sorge spontaneo chiedersi se non vi siano forme alternative di ammortizzatori sociali e se la riqualificazione professionale debba per forza essere affidata ad organismi privati e con scopo di lucro. Ma soprattutto c’è a chiedersi se possa esser veramente questo meccanismo considerato un ammortizzatore sociale e non una forma di caporalato 2.0, un business sulle spalle dei disoccupati. Che presto Renzi darà in mano ai sindacati. E vissero tutti felici e contenti.

 

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